Abbiamo scelto, come metodologia di azione, la non violenza, come risposta coerente verso un mondo in crisi nel quale gli anti valori e coloro che li portano avanti, stanno diventando i punti di riferimento di una anti cultura neo schiavista che, oggi, prende il nome di globalizzazione dei mercati, alla quale, come attivisti umanisti, anteponiamo la mondializzazione o globalizzazione dei diritti umani e delle pari opportunità per ognuno.
La violenza del sistema bancario, delle multinazionali, del Fondo Monetario Internazionale, sta imponendo un mondo in cui i poveri sono sempre più poveri ed i ricchi sempre più ricchi, oltre che aumentare il non senso ed una preoccupazione sempre maggiore per il futuro.
La non violenza è un arma che disorienta e destabilizza il potente e lo rende vulnerabile. La non violenza è un’espressione umana che tende ad unire e lavorare insieme per il bene comune.
Lo strapotere ottuso e cieco dei governi (e non dei popoli) degli Stati Uniti con i loro tirapiedi, tra cui quelli italiani, francesi, inglesi e russi su tutti, stanno gettando la realtà verso un baratro di violenza e terrorismo contro ogni cosa che muove contro quello stesso potere il cui unico intento è di avere sempre più potere sul genere umano.
Come nostri punti di riferimento adottiamo Silo, Martin Luther King e Ghandi.
La Nonviolenza attiva
Questa comprende la denuncia delle ingiustizie, la non partecipazione a ogni forma di oppressione e violenza, l’azione psicologica, la disubbidienza civile, la resistenza nonviolenta all’autoritarismo, ecc. Cioè ogni possibile forma nonviolenta di lotta a ogni forma di violenza.
La violenza non è un metodo etico né pratico per porre fine alla violenza, ma ne genera altra, in una catena senza fine di rappresaglie. Per noi il fine non giustifica i mezzi. Mezzi e fini sono collegati. Nessun futuro degno dell’essere umano può essere edificato sulla base del sangue e della polvere da sparo, ma nemmeno con la complicità, l’indifferenza e la vigliaccheria di fronte alla violenza, alla sofferenza e all’oppressione.
Alcuni dicono che il bambino usa i pugni fino a che non impara a usare il cervello. Come forma di lotta contro la violenza, la violenza appartiene dunque all’infanzia della mente umana, mentre la nonviolenza è l’arma dei coraggiosi e degli intelligenti. La nonviolenza attiva è un metodo che non è stato ancora sviluppato in tutte le sue potenzialità. Le lotte nonviolente di Gandhi e Martin Luther King sono esempi che si possono sviluppare, adattandoli alle condizioni attuali.
La nonviolenza attiva non è una semplice posizione di pacifismo passivo, rassegnato e timoroso, ma è una militanza dinamica – coraggiosa e ribelle – contro ogni forma di violenza, le sue radici e le sue manifestazioni. Essa lotta inoltre per gettare ponti di comunicazione diretta tra diverse razze, popoli, comunità e individui.
Finora enormi quantità di risorse (umane, economiche, tecnologiche, scientifiche, ecc.) sono state e sono impiegate per lo sviluppo della violenza. Se le stesse risorse venissero utilizzate per lo sviluppo della nonviolenza, ogni paese o il mondo intero cambierebbe in pochi anni.
Sull’efficacia della Nonviolenza.
Un argomento che viene spesso sollevato contro la nonviolenza è che la violenza, come mezzo per ottenere dei risultati, è efficace. Fa cioè sì che si ottengano le cose. Ma questo non è vero. Non sempre la violenza ha successo, a volte raggiunge i suoi obiettivi di corto respiro e a volte no. La storia e gli eventi quotidiani illustrano ampiamente questo punto.
Ogni volta che due fazioni violente si confrontano, ci può essere un vincitore, ma anche un vinto, la storia delle guerre dimostra questo fatto, e i registri della polizia sono pieni di casi che evidenziano il fallimento della violenza come mezzo.
D’altra parte, possiamo essere d’accordo sul fatto che i mezzi nonviolenti non ottengono sempre i risultati desiderati. Anche la Nonviolenza attiva può esibire una lista di successi e sconfitte, di trionfi e fallimenti.
Possiamo però sostenere con sicurezza che, ogni volta che è stata impiegata per raggiungere un obiettivo di grande importanza e durata, la violenza ha sempre fallito. Può aver ottenuto dei risultati iniziali, raggiunti però a prezzo di dolore e sofferenza (per i vincitori come per i vinti), finendo presto per passare in secondo piano rispetto alle conseguenze della violenza. La grande causa viene così alla fine tradita e sconfitta.
Ad esempio, dopo una lotta violenta può succedere a volte che nessuno rimanga vivo o in condizioni abbastanza buone da approfittare del successo. In altri casi, il dolore e la sofferenza inflitti ad altri e sopportati dal vincitore lo privano di ogni gioia o soddisfazione. In altri casi la paura di rappresaglie e la frenesia di consolidare risultati così ottenuti porta a una violenza maggiore di quella esercitata prima su quanti avrebbero dovuto godersi la vittoria. Quelli che sono pronti ad invocare la violenza o a parlar male della nonviolenza sono spesso rivoluzionari da salotto, o cinici e codardi inconfessati, che mandano gli altri in battaglia, o sciocchi che possono solo immaginarsi come vincitori e mai come vittime, o esseri umani materialisti e degradatori che non vedono alcun senso nella vita.
Per quanto riguarda la difficoltà di escogitare e mettere in pratica i metodi nonviolenti, è la stessa incontrata con la violenza. Inoltre, non solo una violenza che abbia successo non è così facile da portare avanti, ma bisogna poi pensare anche al dopo: come evitare le rappresaglie, evadere la legge, ecc., una preoccupazione che invece non sorge quando si usa la nonviolenza.
Perfino “L’arte della guerra”, di Sun Tzu, un classico trattato cinese sulla guerra, sostiene che il miglior guerriero è quello che conduce le cose in modo da non far mai sorgere il bisogno di un combattimento reale, quello che vince le battaglie prima che queste siano richieste, e che con l’astuzia fa sì che il nemico non prenda le armi. Un concetto simile è applicato oggi usando lo spionaggio e il controspionaggio, la propaganda, gli scambi economici e culturali, i negoziati e la diplomazia per scongiurare il ricorso alla violenza. Più un paese è intelligente, più ricorrerà a tutti i possibili mezzi nonviolenti prima di farsi incastrare in un confronto violento.
Tenendo conto di tutti gli argomenti sopra menzionati, affermiamo che la violenza non può vantare nei confronti della nonviolenza alcuna superiorità rispetto al raggiungimento di obiettivi di lunga durata e grande importanza.
Per ogni mezzo violento, se ne può escogitare e provare uno nonviolento, con uguali (o superiori) possibilità di successo. Violenza e nonviolenza producono entrambe un “feedback”, una reazione a catena, un “karma” individuale e sociale con conseguenze rispettivamente indesiderabili e desiderabili.
Infine, la Nonviolenza non verrà mai capita o preferita da chi cerca una convenienza per sé o per altri, ad ogni costo. La nonviolenza è per chi si interessa non solo del presente, ma anche del futuro della propria azione, non solo di ottenere le cose, ma anche del prezzo da pagare, non solo di raggiungere risultati, ma anche del loro fondamento morale.
In sintesi, la nonviolenza rappresenta il meglio dell’essere umano, la violenza il peggio. La scelta è chiara; sta poi a ognuno scegliere la propria strada nella vita. L’evoluzione dell’uomo e la civilizzazione è stata raggiunta nonostante lo spargimento di sangue, e non grazie ad esso. L’impulso dell’uomo verso l’alto viene dai suoi aspetti migliori, non dai peggiori. La ribellione e la lotta alla violenza è presente nelle migliori filosofie, religioni, costituzioni, leggi e nella vita di quelli che vale la pena di ricordare. La violenza andrebbe vista come la conseguenza o la risorsa scaturita da impotenza, debolezza, disperazione, bestialità, squilibrio, paura, avidità, ecc., aspetti che non costituiscono certo le migliori potenzialità dell’uomo.